Al REf 2018 le coreografe Sara Sguotti e Keren Levi analizzano il godimento e l’estetica del gesto
La danza di RomaEuropa si è aperta con il piacere e la bellezza. Sono questi i temi affrontati nella prima serata di Dancing Days, la rassegna che all'interno dello storico festival capitolino guarda interamente alla danza e alle nuove tendenze della coreografia europea. Sara Sguotti, già vincitrice di DNAppunti coreografici 2017, e la coreografa olandese Keren Levi in questo incontro iniziale hanno puntato sul corpo e sulla sua nudità, illustrandone l'estetica del movimento e prendendo spunto ciascuna dalla propria ricerca individuale ma anche da alcune opere artistico-letterarie.
Un rituale di piacere
Sara Sguotti nel suo S.Rituale riesce a divisezionare il suo corpo per individuare il piacere derivante da ogni singolo gesto. Alternando movimenti lenti e sinuosi a scatti e tremori sembra voler analizzare ogni centimetro di sé. Scioglie i capelli e scuote la testa sempre più velocemente quasi a volerla liberare da un pensiero ossessivo, fino a farla sembrare uno scarabocchio nero roteante sul suo corpo nudo la cui unica veste è uno striscia di vernice rossa che, come un bavaglio, le dipinge metà del viso, dal naso al collo. Si contorce sul pavimento, striscia sensuale come il serpente della poesia di Charles Baudelaire e trasforma le sue carni in masse informi tanto simili alle sculture di Louise Bourgeoise.
Si muove con fare animalesco, compie azioni viscerali tra loro contrapposte ma miranti tutte alla ricerca del piacere. Come in un rito primitivo il godere del proprio corpo diventa il fine ultimo di una sequenza gestuale che ritrova i suoi corollari nel titolo stesso della performance e nella S (iniziale del nome della coreografa) in esso contenuta. S di sesso, di sangue, di segno, di silenzio e di tanto altro che con la sua drammaticità costituisce il piacere stesso. La performance si conclude con un momento ludico, una merenda cantata in compagnia di un amico, un performer rimasto in penombra in un angolo della scena seduto su un tavolo di legno a sbucciare della frutta e a disporla meticolosamente nei piatti. Anche qui torna l'immagine di un rito preparatorio al godimento, un quadro caravaggesco che mostra l'appagarsi di due moderni baccanti.
L'emancipazione del corpo femminile
Se il lavoro di Sara Sguotti è intimo e viscerale, quello di Keren Levi si mostra più freddo e schematico. The dry piece è il manifesto della femminilità, del corpo della donna emancipato da ogni stereotipo. Tra le fonti d'ispirazione della coreografa di Amsterdam vi sono da un lato le creazioni di Busby Berkeley, celebre regista di musical degli anni ‘30, dall'altro il testo politico The Beauty Myth firmato da Naomi Wolf, un'accusa al maschilismo e al modo in cui gli ideali di bellezza (spesso sconfinanti nel pornografico) siano utilizzati contro la libertà delle donne. Otto donne si preparano alla danza spogliandosi ai margini della scena per poi scomparire dietro un velo e riprodursi in una dimensione archetipica e universale attraverso delle proiezioni che riprendono le danzatrici dall'alto.
La coreografia geometrica e razionale si articola principalmente sulla figura del cerchio che ripetutamente si apre e si richiude su se stessa come una rosa, un prisma di corpi che riflette la luce della bellezza pura libera da condizionamenti socio-culturali. I corpi glitterati delle donne esplorano diverse possibilità di movimento ma restano sempre su traiettorie prestabilite. La simmetria e la sincronia della danza disegna schemi che ricordano certe antiche danze femminili, spesso propiziatorie, che si svolgevano appunto in cerchio ma questa razionalità apparentemente restrittiva delle forme è invece lo specchio di un mondo caotico dove anche la diversità della personalità può essere bella.